Il corteggiamento nel periodo Heian

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teo_sensei
view post Posted on 15/9/2010, 10:53




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«In seguito all'attuazione della riforma Taika, che nel 646 aveva promulgato una riorganizzazione totale dell'ordinamento pubblico, al pari di altri aspetti della vita sociale anche per quanto riguarda il matrimonio il Giappone fece riferimento ai princìpi legislativi di origine cinese.
Un uomo poteva avere una moglie ufficiale (kita no kata) e un numero variabile di concubine (shō), anche se con il passare del tempo la differenza tra le stesse divenne sempre di più difficile individuazione.
La pratica più seguita dall'aristocrazia di corte dell'epoca per dare l'avvio a una relazione era quella di uno scambio di lettere d'amore (tsumadoi o yobai), al quale facevano seguito le visite notturne e in incognito (kayoi) che l'uomo rendeva alla donna.
Nel caso che il primo avesse già una moglie legittima, questi incontri notturni potevano protrarsi anche per tutta la vita. Prima di decidere se iniziare o meno il rapporto, l'uomo voleva però avere la certezza che la donna valesse gli sforzi e l'impegno che lo avrebbero atteso se la cosa avesse avuto un seguito. E per ottenerla c'era solo una maniera: recarsi di nascosto nella sua residenza e osservarla senza che lei se ne accorgesse.
Il giovane signore che spia la bella e affascinante dama costituisce una delle convenzioni letterarie maggiormente utilizzate all'epoca per introdurre il momento della scoperta, da parte del protagonista maschile, della sua amata. [...] Il continuo utilizzo di quest'attimo pieno di pathos, la cosiddetta "vista attraverso un divisorio" (kaimami) non è però solo un eccellente e ben congegnato artificio letterario, ma rispecchia una reale e quotidiana necessità.
Le donne dell'aristocrazia trascorrevano infatti quasi tutta la loro esistenza celate dietro paraventi, tende o cortine di bambù entro gli angusti spazi dei loro appartamenti, e non era loro concesso di porsi in diretta vista degli uomini, nemmeno dei loro stessi familiari. Sempre attorniate da dame di compagnia, che rispondevano e soddisfacevano a qualunque loro richiesta, conducevano una vita del tutto sedentaria. La loro segregazione era alleviata solo da qualche conversazione che di tanto in tanto intrecciavano con il loro corteggiatore - ma sempre celate dall'immancabile tenda-paravento che lasciava visibili solo le lunghe maniche dei kimono - e dalla loro partecipazione ai principali eventi mondani dell'anno.
L'uomo era fortunato se agli inizi riusciva a carpirne un'immagine fugace, dove l'unico attributo che restava impresso era la capigliatura, che diveniva quindi metro di giudizio. I capelli, di un nero corvino, dovevano essere lisci e lunghi quanto la persona, meglio se addirittura di più, e toccare terra quando la donna era in piedi. L'uomo decideva di corteggiare una donna spinto quindi principalmente da curiosità, perchè ne sentiva parlare dalle sue ancelle o dagli amici.
Prima di rendere pubblica un'unione, l'uomo doveva incontrare la donna per tre notti consecutive, e fino a quel momento i due innamorati potevano tenersi in contatto solo attraverso un reciproco scambio di missive. Tutte le fonti concordano nell'attribuire a questa usanza delle "tre notti" un valore di prova, in quanto nel corso del corteggiamento alla coppia non era consentito incontrarsi. Da qui la primaria importanza svolta dall'invio di poesie, unico e irrinunciabile mezzo attraverso il quale i due innamorati potevano iniziare a conoscersi. Il giudizio sulle capacità di comporre, sulla grafia, sulla scelta della carta, sull'abbinamento dei colori e dei ramoscelli che accompagnavano le missive era quindi determinante.
Le "tre notti", che non impegnavano assolutamente l'uomo, servivano a questi per conoscere la sua futura sposa. La prima delle tre visite avveniva nel più totale segreto. L'uomo raggiungeva la residenza della donna al calar della notte per lasciarla la mattina seguente al canto del gallo. Subito dopo essere rientrato nella propria dimora, inviava all'amata una missiva del tutto speciale, la cosiddetta "poesia della separazione delle vesti" (kinuginu no uta). La lettera, che veniva letta dai familiari della ragazza, doveva esprimere nel migliore e più poetico dei modi la tristezza provata al momento della separazione. Al messo che l'aveva recapitata venivano offerti dei doni.
Trascorsa la terza notte l'uomo, contrariamente alle precedenti, poteva restare più a lungo nella camera della moglie e per la prima volta si faceva vedere in pieno giorno nella residenza della donna. Il matrimonio veniva quindi ufficializzato con un duplice atto. La coppia, o in alcuni casi solo l'uomo, mangiava dei mika no mochi (i mochi del terzo giorno), simbolo di fertilità.. Valore rituale assumevano la prima vestizione e la prima colazione dell'uomo con la moglie. Poi si effettuava un banchetto pubblico che culminava con lo scambio di una coppetta di sake tra il padre della sposa e il genero, e gli uomini della scorta dello sposo erano invitati, insieme alla servitù della casa della donna, a un ricevimento organizzato in loro onore.»
 
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°°Antea°°
view post Posted on 2/10/2010, 10:13




Ciao!Quest'articolo è molto interessante,ma sembra preso da un libro...potresti dirmi quale?mi piacerebbe leggerlo ^^
 
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1 replies since 15/9/2010, 10:53   61 views
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