Šama del ƒuoco
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L
a penna vacilla, poi sfugge alla mia presa, lasciando una striscia d'inchiostro come la traccia di una lumaca attraverso la carta di mastro Piuma. Ho rovinato un'altra pagina di buon materiale per quella che sospetto sia un'impresa futile. Mi chiedo se sono in grado scrivere questa storia, o se ogni pagina conterrą la subdola manifestazione di un'amarezza che crede-vo morta da tempo.
[...]
Il ricordo č quasi fisico; il gelo grigio del giorno morente, la pioggia implacabile che mi inzuppava, le pietre ghiacciate delle strade della cittą sconosciuta, perfino i calli aspri dell'enorme mano che afferrava la mia manina. A volte rifletto su quella mano. Era dura e ruvida, una trappola. Eppure era calda, e non teneva la mia con brutalitą. Era solo ferma. Non mi lasciava scivolare sulle strade gelate, ma non mi permetteva neppure di sfuggire al mio destino. Era implacabile come la gelida pioggia grigia che faceva risplendere la neve calpestata e il ghiaccio sul sentiero di ghiaia fuori dalle enormi porte di legno della costruzione fortificata che si ergeva come una fortezza all'interno della cittą stessa.
Le porte erano alte, non soltanto per un bambino di sei anni; alte abbastanza per far passare un gigante, per far sembrare minuscolo perfino il vecchio robusto che torreggiava su di me. E mi apparivano strane, anche se non riesco a immaginare che tipo di porta o di abitazione mi sarebbe apparsa familiare. Solo che queste, intagliate nel legno e incernierate su cardini di ferro nero, decorate con la testa di un cervo e un batacchio di ottone lucente, andavano al di lą della mia esperienza. Ricordo che il fango mi aveva inzuppato i vestiti, e che avevo i piedi e le gambe umidi e freddi. E tuttavia, di nuovo, non riesco a ricordare di aver camminato a lungo attraverso le ultime maledizioni dell'inverno, o di essere stato trascinato. No, comincia tutto lģ, proprio fuori dalle porte della fortezza, con la mia manina intrappolata in quella dell'uomo alto.

L'APPRENDISTA ASSASSINO